submit feed

Trieste – Mongolia

15 agosto 2009

Blog no comments »

Ieri, quando siamo arrivati eravamo molto stanchi, quindi, appena salutato gli amici del MongolRally alla finish line, ci siamo subito messi in cerca di un albergo. Trovatolo ci siamo sistemati. Stefano decise di uscire a vedere un po’ la città, David e Massimiliano optarono per rimanere in albergo, anche se scoprirò poi che pure loro, più tardi, cambiarono idea e uscirono. Nonostante la stanchezza decisi di fare un giro. La città è molto grande e camminai molto, perdendomi, ritrovandomi e perdendomi nuovamente. Era da poco passata la mezzanotte, decisi di entrare in uno dei molteplici locali della via che stavo percorrendo. Uno a caso.

Entrai, mi accomodai e chiesi una vodka. Il cameriere mi fece pagare in anticipo, 15.000 tughrik, l’equivalente di 10 dollari. Pagai. Non mi portò un bicchiere ma direttamente una bottiglia. Il locale era poco illuminato, sporco e fatiscente. Sembrava equivoco. Non feci in tempo ad assaggiare la vodka che una decina di poliziotti fecero irruzione nel locale. Si scatenò un parapiglia generale, gente che scappava, poliziotti che inseguivano, uno di questi munito di telecamera riprendeva tutto. Non mi scomposi, era una vicenda che non mi apparteneva. Ero un turista capitato lì per caso. Si avvicinò un poliziotto e, con faccia feroce, mi urlò qualcosa e mi fece cenno di uscire. Mi alzai e feci per prendere la bottiglia di vodka. Me la strappò di mano, sempre urlandomi qualcosa. Un altro poliziotto mi spintonò giù dalle scale. All’uscita altri poliziotti ad attendere la gente che scendeva. Venne fatta una prima scrematura su chi sarebbe stato rilasciato subito e chi trattenuto. E’ il mio turno: – “Passport” – mi dice una donna in divisa. Replico che il mio passaporto è in hotel, tirando fuori il biglietto da visita dell’albergo. La donna in divisa scambia qualche parola con un suo collega, questo alza le spalle ed indica un furgoncino che funge da cellulare. Sarò il primo a salirci. Su quel piccolo mezzo, con posti per sette persone, saremo stipati all’inverosimile, più di 15, senza contare autista e guardia che sedevano fianco a fianco in prima fila. Il percorso sembrava interminabile. Ci scaricarono in una stazione di polizia, e ci misero in una specie di sala riunioni. C’era già altra gente, di tutti i tipi, prostitute, ubriachi, gente con il volto tumefatto o la testa sanguinante. Alcuni erano sdraiati per terra.

Passarono ore, chiesi spiegazioni ma nessuno parlava inglese. In qualche modo, a gesti, compresi che avrei dovuto aspettare le otto del mattino. Verso le quattro chiamarono alcune persone e le portarono fuori dalla stanza. Dei feriti non se ne curava nessuno. A gruppi, in momenti vari, arrivava altra gente. Alle otto chiesi nuovamente spiegazioni. Mi dissero che avrei dovuto aspettare le nove. Mandai un SMS agli amici affinché non si preoccupassero della mia assenza e, se possibile, mi inviassero il numero d’emergenza dell’ambasciata. Arrivarono le undici, mi dissero che avrei dovuto attendere le sedici. I miei amici, con ovvie difficoltà, riuscirono finalmente a rintracciare il numero dell’ambasciata tedesca e a trasmettermelo. E’ questa sede, in mancanza di una ambasciata italiana a Ulaanbaatar, che svolge compiti di supplenza per i nostri connazionali. Composi il numero, una segreteria automatica mi comunicò il numero d’emergenza per i cittadini italiani. Mi rispose un signore gentile che, in inglese, mi rassicurò e si fece dare il numero del distretto di polizia che mi tratteneva. Avrebbe fatto chiamare da qualcuno di sua fiducia, lui non parlava mongolo.

Erano circa le 15:00 quando un poliziotto mi chiamò e mi indicò la porta. Mi strinse la mano sorridendo, ero libero. Nessuno mi ha fornito spiegazione alcuna. Chiamai il rappresentante dell’ambasciata tedesca, per ringraziarlo e chiedere spiegazioni. Mi disse che non ne ha avute neanche lui ma la cosa importante era che io fossi stato rilasciato.

Presi un taxi, mangiai qualcosa al ristorante vicino alla finish line, dove incontrai i miei amici che, ovviamente, mi presero in giro. Andai in albergo a riposare un paio d’ore, poche dopo sarebbe iniziata la festa d’arrivo del MongolRally.

Tra birra, musica e gonnellini scozzesi incontreremo Francois, il ragazzo londinese rimasto bloccato agli inizi di agosto tra la frontiera kazaka e quella russa, alla dogana furono inflessibili, ha dovuto trascorrere ben 5 giorni e 4 notti nella terra di nessuno. L’unico aiuto lo ha avuto dai camionisti russi in transito, che lo hanno rifornito di cibo, acqua e, naturalmente, vodka. Una volta ottenuto l’ingresso in Russia, Francois, raggiunse i suoi amici facendo autostop e prendendo il treno, per poi finalmente continuare il viaggio con loro fino a Ulaanbaatar.

Lascia un commento

log in