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Trieste – Mongolia

04 agosto 2009

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Una vicenda kafkiana.

Alla frontiera, come già vi avevo raccontato, ci avevano comunicato che non avevamo più il visto di uscita e che ci saremmo dovuti recare all’Ambasciata Italiana di Astana. Puntuali come una scadenza fiscale, in data e ora previste, siamo presenti in quei pochi metri quadrati di Italia presenti sul suolo kazako. Dopo una ragionevole attesa, uno di noi, io che scrivo, Paolo, viene accolto dal Cancelliere con incarichi estesi, Domenico. Questi è un signore siciliano, della provincia di Enna, intelligente, affabile, disponibile e apparentemente indolente nei modi, come quasi tutti i siciliani. Una persona di grande esperienza, ad un anno dalla pensione che sogna di ritirarsi nella sua amata Sicilia, per dimenticare i lunghi inverni di questa città che, i 35° sotto zero isolano dal resto del mondo. Esposto il nostro problema al Cancelliere questi si mette a pensare non a quale sia la giusta procedura tecnico/legale da attuare ma quale sia la persona giusta da contattare. Mi offre un caffè, rigorosamente con caffettiera e caffè italiani, dopo dieci giorni di thè è impossibile rifiutare. Scartabella un enorme raccoglitore di biglietti da visita ma ha già in mente una persona dell’ufficio immigrazione kazako che però non vuole disturbare al cellulare, perché convinto che è in ferie proprio in Italia. Chiede ad una segretaria di chiamare l’ufficio kazako competente e di farsi passare qualcuno. Parla in russo fluentemente ma il tono siculo non cambia, questo, unito a delle parole chiave, ormai impresse nella mia memoria, mi fa capire il contenuto della telefonata. Verso la fine della sua esposizione del nostro problema chiede notizie del suo amico kazako. Colpo di teatro, è appena rientrato dalle ferie. Chiude frettolosamente la comunicazione e si attacca al cellulare. Non lo trova. Un assistente prende la chiamata del funzionario kazako e risponde che è in riunione. Il Cancelliere mi chiede di pazientare, appena possibile mi comunicherà quello che si dovrà fare. Esco e metto al corrente i miei amici.

Dopo un’ora di attesa, il Cancelliere esce dall’ufficio e ci assegna una segretaria che ci faccia da interprete. Le donne kazake sono molto carine, curatissime, slanciate, flessuose, molto femminili, con lunghi e folti capelli nerissimi. Non portano mai un tacco inferiore ai 7 cm. Generalmente hanno lunghe gambe, fianchi non molto pronunciati e un seno ben proporzionato. I tratti somatici sono quelli asiatici, addolciti da incroci con razze tagike e uzbeche. Le bionde di stampo russo sono poche.

La segretaria a noi assegnata, trentenne di nome Karlan, non fa eccezione, è solo un po’ più bassa della media, più o meno 160 cm. Parla un buon italiano. L’accompagno al dipartimento consolare o ufficio immigrazione, come lo chiamano tutti. Scopriamo che il nostro contatto è in riunione, non si libererà prima dell’una. Sono le 11.30. Decidiamo di aspettare e chiediamo quando abbiano la pausa pranzo: dalle 13:00 alle 14:30. Aspettiamo comunque, forse saremo fortunati e uscirà qualche minuto prima. La scelta si rivelerà corretta, il funzionario lo incroceremo 5 minuti prima dell’una. Questi è un uomo basso, di corporatura media, sulla quarantina, dai modi decisi e spicci di chi non ha tempo da perdere. Si avvicina alla feritoia del vetro a specchio di un ufficio per il pubblico e con tono perentorio richiede dei moduli. Ce li consegna e spiega a Karlan quello che dovremmo fare. E’ un normale modulo di richiesta di visto. Ritorniamo all’ambasciata, compiliamo i moduli e andiamo a pranzo alla mensa interna. Alle 14:30 ritorniamo all’ufficio immigrazione con passaporti e moduli compilati. Ci dicono che non basta: hanno bisogno di un versamento di 60 dollari e di un verbale, come lo chiamano loro, che altro non è che una richiesta dell’ambasciata di estensione del nostro visto. Ritorniamo alla sede consolare, i funzionari sono tutti impegnati e dobbiamo attendere che si liberi qualcuno per farci questo verbale. Lo otteniamo verso le 16:00. Ci dirigiamo verso una sede della banca statale, unica abilitata a questo tipo di pagamento. Non potremmo pagare perché i dollari verranno riconosciuti come falsi della loro macchinetta per il controllo della valuta. Ci rechiamo in un altra sede. Non accettano il pagamento in dollari. Ci rechiamo ad un ufficio cambi e convertiamo l’equivalente di 60 $ in Tenghe. Sono le 17:15, l’ufficio immigrazione chiude alle 18:30. Ritorniamo alla seconda banca per scoprire che ha chiuso alle 17:00. Ci rechiamo ad un’altra sede, qui ci chiedono il RIM per effettuare il pagamento, l’equivalente del nostro codice fiscale. Deve essere il nostro, non possono o non voglio accettare di effettuare il pagamento con il rim di Karlan o quello dell’ambasciata. Per il rilascio del rim ci vogliono tre giorni. Chiamiamo il nostro uomo all’ufficio immigrazione e ci consiglia di recarci nella sede della banca statale centrale, dall’altra parte della città. Sono le 18:20. La coda è notevole, sul nostro biglietto rilasciato della macchinetta elimina-code c’è impresso il numero 976. Il pannello indica che stanno servendo il cliente con il numero 945. L’attesa non sarà troppo lunga, fortunatamente. Arrivato il nostro turno, Karlan spiega cosa vorremmo fare a una segretaria immusonita e scontrosa. Questa solleva ogni sorta di difficoltà, per il pagamento in dollari, per il rim e, finalmente quando Karlan la convince a mettere le mani sul terminale per effettuare l’operazione, ci chiede a quale dipartimento devono andare questi soldi. Non lo sappiamo e sul bigliettino lasciatoci dal nostro corrispondente non c’è indicazione alcuna. Lo chiamiamo, mentre Karlan, come un mastino, non si muovo dallo sportello. Il nostro uomo è occupato al telefono, attendiamo qualche minuto e riusciamo finalmente a parlargli e ci comunica quanto necessario. Nel frattempo molte persone ci sono passate davanti, Karlan riesce ad infilarsi di fronte alla segretaria e finalmente riusciamo fare l’operazione. La cosa curiosa è che l’impiegata della banca chiede a noi quale sia il cambio tenghe/dollari. Sono le 18:40, decidiamo di provare ad andare all’ufficio immigrazione comunque. Vi arriveremo alle 19:00 e troveremo una subalterna del nostro funzionario che ritirerà i nostri documenti, dopo averli controllati: c’è tutto. Domani, in mattinata, ci promettono che saranno pronti.

La burocrazia, unita all’indolenza dei funzionari ed impiegati di questo Paese, è demenziale. Senza l’aiuto dell’ambasciata e la determinazione di Karlan non ce l’avremmo fatta.

Karlan è soddisfatta di essere riuscita a cavarci d’impaccio e ci accompagnerà anche a cena. A lei, in particolare, va il nostro sentito ringraziamento.

One Response to “04 agosto 2009”

  1. Peppermint says:

    Grande Paolo!
    Siamo in molti del forum ubuntu a seguire la vostra avventura…

    Forza Muli!

    Pino

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